Il babau Parente

5 Ago

Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler | di Massimiliano Parente | Mondadori 2014

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di piero grignani

A essere sinceri le ragioni per cui ci occupiamo dell’ultimo lavoro di Massimiliano Parente, Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler, uscito per Mondadori nel gennaio 2014, nemmeno le ricordiamo più, tanto è il tempo intercorso tra la sua lettura e questa faticosissima restituzione. In mezzo una logorante ricerca dei primi titoli del nostro, introvabili in libreria e pure nelle biblioteche (e occorrerà che Parente si attrezzi a riguardo, altrimenti ai posteri, per cui dice di scrivere, davvero non resterà niente, ma forse, chissà, trattasi di precisa strategia editoriale). A parte ciò, su internet c’è Parente in abbondanza; si inizi però da writeandrollsociety, che è un bel sito e c’è l’autore che fa le boccacce. Poi, soprattutto polemiche: con Sgarbi, con Tiziano Scarpa, con Scurati e nemmeno stiamo a reindirizzarvi. Comunque, per i cultori dell’autore, senza incorrere nei loro strali, quest’ultimo romanzo non mi sembra a livello della trilogia (La macinatrice, Contronatura, L’inumano); per tutti gli altri invece è un ottimo viatico per entrare nell’universo Parente.

Si ride, molto, c’è malinconia, metafisica, anticlericalismo, feticismo, Dr. House, Thelma e Louise, tragedia che vira al grottesco e poi ancora chicche di dolcezza. Tutto già visto in Parente, in proporzioni variabili, ma meno duro e trascendente e più naif, per capirci, e quindi anche più appetibile, che va benissimo.

Però un poco lascia stupiti il coro (o coretto, dipende dalle prospettive) di lodi che accompagnano il libro, sebbene qualche segnale già c’era stato per L’inumano. Un fronte, si badi, che non ha colore e dall’Espresso (Manuela Caserta) arriva a Libero (Francesco Borgonovo) e dal televisivo Grasso tocca il cattolicissimo Doninelli. È vero che altri tacciono o fanno finta di ignorare, che invece è pratica meschinetta e tutta italiota e che a stigmatizzarla si finirebbe lo spazio a disposizione, e poi mi pare evidente che a recensire solo amici e sodali non si vada da nessuna parte (e nemmeno ci si diverte a dirla tutta, che le marchette editoriali sono le cose più faticose in assoluto).

Però, insomma, com’è che un libro esplicitamente scorretto, politicamente, confessionalmente, sessualmente, socialmente, evoluzionisticamente (dai Parente… sugar daddy di uno scimpanzé di nome Martina? Che perversione è questo rapporto incestuoso e tenerissimo in odore di zoorastia?) raccoglie tanti consensi? Che in Italia siamo tutti diventati di colpo intelligenti e modernissimi? Che il babau/hitler/porcod** non fa più paura e non indigna nessuno?

Ecco: è Parente a essere sceso di qualche gradino e ad aver addomesticato il suo antagonismo leopardiano, il suo nichilismo nerissimo, per arrivare ad un pubblico più ampio (e quindi ha tradito le ragioni della Letteratura) o sono i chierici ad essersi finalmente emancipati, ad aver imparato a godere delle provocazioni. Non parlo del “pubblico sovrano”, che forse conoscerà il Parente televisivo, ma questa unanimità della critica (non ne dice bene anche Giglioli su il Corriere o su La Lettura?), si converrà, dà a pensare e forse farà riflettere anche Parente. A ripetere come un salmo che si è grandi scrittori, anzi tra i più grandi, tutti, prima o poi, si convinceranno. Si rischiano altrimenti caritatevoli scotimenti del capo e sorrisi di sufficienza, meglio quindi sempre abbozzare: in fondo nessuno vuole passare da cretino, incapace di riconoscere la vera grandezza.

Ora, Il più grande artista del mondo dopo Adolf Hitler parla, naturalmente, di arte, del sistema dell’arte contemporanea e della sua costante necessità di stupefazione e tutti dietro a strologare di ciò (segnaliamo, solo per l’abnegazione e il puntiglio Luigi Torriani su Eidoteca) e tuttavia mi guardo bene da seguire Parente su questo terreno. Ciò nonostante il limite sottilissimo e labile che trasforma un’idiozia in opera d’arte è ben descritto. Eppure, a meno di non voler intendere il lavoro a guisa di saggio – e qualcuno anche, da qualche parte, deve averlo sostenuto – il libro nei fatti resta un romanzo, che vorrebbe provocare e invece riceve plausi. Come dire, che, per tornare a uno dei ritornelli del libro, uno espone la merda d’artista e tutti godono e gridano al genio e non c’è nessun onorevole Bernardi pedantissimo e democristiano che si prende la briga di rintuzzare e bacchettare e invocare l’intervento dell’autorità per fare sequestrare il libro a causa delle oscenità in esso contenute. E di chi è la colpa? Sempre dell’autore, naturalmente. Certo, si potrebbe parlare di transfer e le provocazioni di Max Fontana, appunto il più grande artista del mondo dopo Hitler, sono quelle di Parente e come nella finzione anche i nostri Angelo Schopf e critichini tutti si sfidano in esegesi brillantissime per non sembrare scemi. Ma va bene ciò a Parente? A me anche manda in solluchero il ruolo di bastian contrario che Massimiliano Parente si è cucito addosso e ce ne fossero di scrittori come lui che sembra ti prendano per il naso per cinquecento pagine, ma se poi tutti sono lì a battere le mani qualcosa, allora, non funziona.

Dunque, Parente, bisognerà alzare la posta. In fondo sparare contro il mondo dell’arte contemporanea è come sparare a donne e bambini: troppo facile. Non ci credono nemmeno i protagonisti, i curatori, e poi i critici contano niente da un po’ e il borsino dell’arte funziona, ne più ne meno, come il fratello maggiore, sono cose che sanno tutti. Verrebbe da chiedere a Parente di volgere la canna del fucile contro se stesso, se solo non l’avesse fatto fino ad ora e con l’esibizione dei propri fallimenti e fissazioni già non ci avesse tormentato a sufficienza. Eppure, come dire, sarà pure voyeuristico e malato, ma quanto daremmo per vedere Parente sbudellarsi veramente, oltre le rappresentazioni letterarie e i feticismi da youporn (che anche quelle sono pratiche da segretariette, che stuzzicano ormai gli acquolini del generore nostrano). Sarà in grado Parente di farci abbandonare un suo libro per davvero e non per ordinaria e umanissima noia? Sarà insomma in grado di far bruciare un suo libro in piazza?

Come riuscirci saranno problemi di Parente. Provi magari a volgere il suo moralismo contro se stesso, dicendo non quello che non può essere detto al mondo (che oggi ingoia, goloso, tutto), ma a sé, che mi sembra prova difficilissima e in fondo significa trovare il ventre molle di questo leviatano degli anni Dieci, quale che sia. Penso sia tra i pochi a poterci riuscire. Qualcosa si era intravisto nella trilogia, ma anche lì sotto carrettate di simboli e rappresentazioni pornoamatoriali, comunque lo abbiamo già detto.

Doninelli (che forse fa la recensione più bella) dice che in fondo Parente è tragico perché per Parente l’universo è “un caos insensato che noi cerchiamo di rendere quasi abitabile” ed anche sarà vero. Però come suona romantico e fuori scala, e verrebbe da dire a Doninelli che a seguire Parente sul suo terreno, a prenderlo sul serio, c’è il rischio di venir coglionati. Sebbene, dopo averlo detto, noi siamo ancora qui e nemmeno siamo tanto sicuri di aver ragione.

 

Postilla 1

Avrei chiuso qui, poi, ecco deflagrare su la Lettura del 26/05 questa storia di Cordelli e della sua “palude” delle patrie lettere e inizia il gioco del chi c’è, chi manca e chi sta con chi e la consueta processione di risposte e precisazioni (Cortellessa che chiosa l’immagine della palude, perché di una palude non se ne può trarre una mappa, in quanto trattasi, evidentemente, di un controsenso cartografico, mi sembra però in assoluto il migliore) e battibecchi più o meno da pollaio, più o meno da accademia (e dentro ci trovate anche una professoralissima Policastro, di cui già ci siamo occupati). Da il giornale.it pure rispondono in goliardia con una contromappa. Bene, però Parente nella palude/mappa di Cordelli non c’è. E questo dovrebbe tranquillizzare Parente: ancora il suo one-trick non è stato così metabolizzato come credevamo e infatti non vale la pena di inserirlo in una mappa della letteratura italiana degli anni Dieci. Dunque, forse ci eravamo sbagliati, si può tirare avanti ancora per qualche tornata, ma si sbrighi Parente, che nella prossima mappa toccherà entrarci pure a lui, malgré lui.

Postilla 2

Va bene che accostare Parente a Moresco è la cosa più sdata che si possa fare e anche il primo ha scritto un libretto (pure questo semintrovabile) sull’autore delle Lettere a nessuno, e forse ad oggi i due avranno anche trovato modo di litigarsi; comunque alla Mondadori nel 2012 andavano per le spicce e dovevano avere le idee piuttosto chiare a riguardo, perché sia per L’inumano (approdo a Segrate di Parente dopo la disavventura in Bompiani) che per la pubblicazione negli Oscar dei primi lavori di Moresco (Clandestinità e La cipolla), raccolti sotto il nuovo titolo Il combattimento, sono ricorsi ai michelangioleggiamenti furiosi e un po’ sbrodolosi di Paolo Troilo da Taranto, classe 1972, che è un po’ il Sartorio dei tempi nostri. Ma forse nessuno ricorda più Aristide Sartorio e allora per curiosi e scrupolosi qui c’è un filmato della Rai.

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