Esercizi di sevizia e seduzione all’ora dell’aperitivo

17 Mag

Esercizi di sevizia e seduzione | di Irene Chias | Mondadori 2013

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di piero grignani

Ebbene sì, c’era rimasto l’uzzolo di leggere questa Irene Chias. È vero che ormai il libro sarà introvabile e nessuno più ne parla – e strologare su titoli usciti esattamente un anno fa è un suicidio editoriale – però, che dire, la curiosità per il parallèle proposto a suo tempo da Massimiliano Parente tra l’ultima prova della Chias e quella di Veronica Raimo (a tutto vantaggio della prima) andava soddisfatta. Così si sono fatti i compiti, e oltre agli Esercizi di sevizia e seduzione abbiamo letto anche Sono ateo e ti amo, Elliot 2010, esordio della scrittrice siciliana. Tuttavia non ce ne voglia Parente, ma Raimo vince ancora, di gran lunga. D’accordo che allora su Tutte le feste di domani avevamo avuto da ridire e precisare, ma non sarà un mezzo passo falso a sovvertire i valori e poi Il dolore secondo Matteo, che è il primo libro della Raimo, resta davvero di un altro pianeta, altro che Chias.

Comunque, non è che si goda particolarmente a fare classifiche, motivo per cui lasciamo stare la Raimo e occupiamoci di questi Esercizi di sevizia e seduzione. Ora il tema del romanzo, che troverete un po’ dappertutto in rete (ma forse l’intervista all’autrice su Libreriamo è più che sufficiente) è quello di tale Ignazia che, esasperata per il persistente sottofondo misogino della nostra bella società, decide di diventare una sorta di spaventatrice o vendicatrice del genere femminile, “torturando”, dopo averli adeguatamente adescati e rintronati con cocktail di barbiturici, alcuni esemplari di maschi medi nostrani. Naturalmente i prescelti non sono presi a caso, ma selezionati tra coloro che più si sono distinti per atteggiamenti di conclamato ed ostentato sessismo. A questo punto vi aspettereste truculenze pulp o rigurgiti cannibali e invece no, perché la punizione consterà nel terrorizzare tali malcapitati, facendo loro credere di essere in procinto di ribaltare sulla loro proterva e infantile mascolinità sevizie e crudeltà che altri scrittori (Bret Easton Ellis, Burgess, Marinetti o i profeti dell’Antico Testamento) hanno indirizzato alle donne. Bello. Un po’ come Dexter (o Dante?) e forse è per questo che a Parente piace tanto (per via di Dexter, naturalmente). Per la Venturelli su l’Unità poi “il vero colpo di genio” è tutto in questo contrappasso letterario, eppure il giochino ha il fiato cortissimo e non c’è modo di farlo evolvere, così dopo la sorpresa resta la noia. Anche perché stare qui ad applaudire “l’ironia con cui Chias problematizza tematiche che lievi non sono” come Beatrice Mantovani (Sul Romanzo) non ne siamo proprio capaci.

Va bene che l’autrice ha scelto deliberatamente un registro quasi teatrale, evitando le seduzioni veristiche eccetera eccetera – e siamo d’accordo – e anche concediamo che forse in questo modo il messaggio arrivi più, come dire, “epico”, pedagogico nei suoi obiettivi extraletterari, però, davvero quanta indifferenza per i personaggi e la storia, quanto cinismo narrativo. E poi anche chissenefrega dei personaggi e della storia, ne faccia la Chias quello che meglio crede, non sarà certo lei l’ultima a rigettare la forma romanzo. Però almeno risparmi al lettore l’ufficio di constatare ogni tre pagine l’acume delle sue trovate retoriche e lessicali, che alla lunga è davvero snervante e manda in malora anche quel po’ di grottesco che a tratti affiora, che invece è genere nobilissimo e anche difficilissimo da maneggiare e a me, non so, viene in mente forse il solo Ferreri o il migliore Pinketts, già che le gesta della Ignazia vendicatrice si svolgono a Milano.

Però insomma espressioni come “le diedi un pugno e uno spintone che definirono un nuovo assetto geopolitico associato all’arrivo della nonna”, o “ho simbolicamente ucciso Barbie, Ken e tutto il loro universo di polimeri”, o “Xanax il mio aiutante palindromo”, ma anche calembour del tipo “fachiro”/“fuck hero”, ecco, non si possono leggere senza pensare, ma guarda questa quanto è brillante, che wit. Peraltro non finisce qui, perché tocca anche sorbirsi la disquisizione (altrettanto spigliatissima) sul punto esatto in cui Sex and the City diventa reazionario o le farneticazioni, sempre della sorella della protagonista, la quale da anni prova a “defallogocentrizzare” il linguaggio e quindi invece di rompersi il cazzo si “rompe le ovaie”; e poi ancora gli ammiccamenti al noir, al romanzo di genere e le puntualizzazioni su gli psicofarmaci impiegati, le specifiche, i dosaggi, Pentothal sì Pentothal no, Xanax in blister o in gocce. Ma anche a scendere dal piano simbolico e rifare la strada secondo un verso appena appena realistico, la verosimiglianza fa subito acqua da ogni parte e conviene lasciar stare, ma in fondo c’era da aspettarselo. Pure c’è il sospetto che quello che qui infastidisce oltre misura altrove sia ampiamente apprezzato, nonostante, per dirla tutta, davvero non saprei che cavarci da questo esercizio à la Parente, da questa variante da aperitivo però privata dei riflussi nichilisti e nerissimi dell’originale.

Meglio il primo romanzo, comunque, e meglio ancora il primo racconto del primo romanzo, dove l’esprit è più irrazionale e caustico (vedi la storia dello “sbattezzo”) e la vicenda si scioglie malinconicamente in una Palermo quasi surreale di esistenze più o meno precarie e – qui sì – grottesche. Conferma la riuscita di questo primo racconto anche Salvatore Ferlita su la Repubblica, il quale scrive che la storia di Ulna (diminutivo di Ursulina, protagonista appunto del primo racconto di Sono ateo) ha “un piglio ariostesco, per come lo spazio e l’azione sono rappresentati. Con cambiamenti repentini di scena, con accelerazioni vertiginose”. È vero. Dello stesso Farlita ci sarebbe piaciuto leggere anche la recensione a Esercizi di sevizia e seduzione, sempre uscita su la Repubblica di Palermo domenica 28 aprile 2013, ma non siamo riusciti a trovarla. Per chi ha voglia il titolo è Sevizia e seduzione com’è femminile questa vendetta.

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