La sorgente inesausta delle storie di Nico Orengo

28 Mag

Figura gigante. Il salto dell’acciuga. Gli spiccioli di Montale | di Nico Orengo | prefazione di Paolo Mauri | ebook Einaudi 2014

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di pierpaolo gallucci

Nico Orengo ci ha lasciato cinque anni fa tondi, la notte tra il 29 e il 30 maggio 2009. Soprattutto, è nato settant’anni fa, il 24 di febbraio del 1944. La casa editrice Einaudi, per la quale a lungo ha lavorato e con la quale ha pubblicato quasi tutto ciò che ha scritto, lo commemora ripubblicandone in un unico e-book uscito da pochi mesi tre libri: Figura gigante (1992), Il salto dell’acciuga (1997 e 2003), Gli spiccioli di Montale (2001), andati esauriti tranne Il salto dell’acciuga. Ma quasi non se ne è parlato, escluso un breve pezzo su La Stampa, che perlopiù tratteggia la figura dello scrittore a lungo per quel giornale responsabile di “Tuttolibri”. Non ci pare però alcuno si dilunghi sul volume. E anche cercando più a ritroso tra vecchie recensioni assai poco, a parte commemorazioni e brani di “L’indice dei libri del mese” su siti di e-commerce cui pertanto non rinviamo.

Per noi, l’occasione di parlare di un modo di scrivere in italiano con regole abbastanza chiare: semplicità dello stile, per la sistemazione teorica della quale e più ancora per la successione di casi esemplari esaminata ci permettiamo di rinviare alla produzione saggistica di Enrico Testa; plurilinguismo, cioè inserimento nel discorso di brani in dialetto o in parlate arcaiche o ancora in lingue straniere; e una terza fatta di uso di parole poco consuete che però hanno la capacità di risuonare, e di Orengo basta scorrere le pagine per imbattersi in uno dei suoi elenchi di nomi strani, piante in molti casi, l’origine dei quali nelle etichette di una villa sanremese rivela intervistato da Fabio Fazio. Ne risulta un’articolazione del discorso alla continua ricerca di definizioni specifiche e pregnanti tenendolo così lontano da indifferenziazione del lessico e atrofia della sintassi.

Ad interessarci di Orengo però non è solo come scrive, ma anche il cosa, perché quasi tutta la sua opera sta dentro un paesaggio, e ogni volta ne cava fuori un aspetto diverso. Il paesaggio è quello della riviera ligure di ponente, e questo ce lo rende affine a Calvino. Apprendiamo, leggendo Gli spiccioli di Montale, le origini della sua famiglia e le successive deformazioni del suo cognomen, denotante l’origine nella città francese di Orange, un po’ più all’interno rispetto alla vicina Avignone. Gran signori, e l’origine signorile di Orengo è uno degli argomenti toccati da Ernesto Ferrero all’indomani della sua scomparsa, e ben radicati in quel lembo settentrionale di Mediterraneo, con tutto quanto ne deriva per lui, torinese con ascendenze, proprietà e parenti a Sanremo, quanto a formazione di un mito delle origini e a sua trasfusione in parola letteraria. L’affinità con Calvino per noi non importa tanto che stia, come fuor di dubbio sta, nell’appartenere a Sanremo, quanto invece nell’essere membri di ottime famiglie, Orengo aristocratico, Calvino piccolo proprietario terriero di tradizioni laiche, e persone di cultura profondamente impregnate delle parlate locali come dell’italiano, avvertendo che noi ci siamo fatti l’idea, ancora leggendo il buon Testa, che tutta questa separazione tra dialetto parlato dal popolo e lingua letteraria solo appannaggio delle élites non sia poi così forte, e proprio a Calvino ci viene ancora di pensare quando ricordiamo il suo insistere sulla sintassi nata dal dialetto.

Prendiamo l’incipit di Il salto dell’acciuga: “In primavera attraversava cespugli di cisto, fazzoletti di erba, veronica, ciuffi di valeriana rossa aggrappati ai muri, lance d’origano e di timo, onde di lavanda e di ginestrini. Mentre al riparo degli ulivi aglietti e iris blu rasentavano isolotti di borragine, acetoselle e piselli odorosi”. Adesso non è che i libri di Orengo siano fatti solo di elenchi, ma intendiamo sottolineare che anche dove la sintassi si riduce a successioni di parole vi prevale una cadenza in cui lo slittamento tra suono e senso produce un’impressione senz’altro poetica. Né sono gli unici luoghi della sua scrittura dove ciò avviene; anzi. Tutti i suoi libri potrebbero essere letti a partire da come suonano. C’è poi tutto il versante della sua sapienza narrativa, che anche in questi tre libri, dove in modi diversi più che dedicarsi all’invenzione come in altri suoi ricostruisce storie basandosi su documenti e testimonianze, non arriva a svilire mettendola sul piano cronachistico oppure ostentando sfacciatamente troppa confidenza coi luoghi dove finisce per trovarsi. C’è sempre, e in Gli spiccioli di Montale il problema sarà affrontato direttamente, ma rimandiamo alla lettura del libro per il modo, anticipando solo che a essere messa in gioco è la capacità dello scrittore di disporre della propria immaginazione figurativa, il tema del porre una distanza tra noi stessi e ciò con cui abbiamo a che fare e ci emoziona. Tornando alla sapienza narrativa, c’è poi tutta una varietà di tecniche che Orengo possiede e sa utilizzare, e per esempio in Il salto dell’acciuga ci ha colpito come le storie raccontate trovassero nessi, a volte incastri, e rimandi da un livello mitico affidato al fiabesco fino a porsi sul terreno della realtà raccontata dall’Orengo in carne e ossa, che a sua volta si riserva un ruolo di solutore di enigmi attraverso ricerche di documenti e congetture plausibili, ma la differenza con altri che secondo noi scrittori, se non lo sono per niente, lo sono assai meno di lui, sta tutta nell’eleganza del tono e nella gentilezza signorile dei modi, che come risultato gli fanno raccontare storie con naturalezza.

Sul contenuto dei tre libri non ci dilungheremo, in questo fedeli a Orengo stesso che consiglia, di un libro, di rivelare sì qualche perla, qualche gemma, ma mai di raccontarne la trama. Riescono tutti e tre a farsi scorrere da cima a fondo, a stabilire un’empatia tra lettore e mondo di oggetti, panorami e persone che vi è contenuto, restituito con un affetto che azzardiamo si possa spiegare con il dolore di separarsi da un paesaggio che sottoposto a piccole modificazioni nei secoli ha dovuto aspettare quello appena trascorso per subirne di così violente da stravolgerlo, sul piano dell’aspetto fisico come su quello antropologico: e nel caso dei due fratelli alti più di due metri di Figura gigante, esibiti come fenomeni da baraccone a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, basta notare che la Vinadio, nel Cuneese, dove nascono, sta sulla verticale di Sanremo per rendersi conto che è sempre quell’area geografica lì che lo incuriosisce, e tutto l’altro un riflesso.

Merito tutto suo perciò quello di avercelo conservato con i libri in maggioranza assai sotto le duecento pagine che ha accumulato nel corso degli anni, e che se adesso osserviamo nella loro sequenza, dai primi diretti a un pubblico di bambini e illustrati da Bruno Munari, Cristina Lastrego e Francesco Testa fino alle raccolte di poesie e agli ultimi, scritti con una prima persona singolare sull’uso della quale l’autore non nasconde la propria ritrosia, e pure questo ci pare un merito, vediamo esserci porti come una raccolta quasi da collezionista di oggetti eccentrici. Tipici, forse: tracce di questi luoghi prima di perdere l’aura, esempi di aspirazione al poema topografico, benché spesso resa, al di là degli elenchi, delle parole e delle immagini poetiche, attraverso segni minuti, indizi della presenza di un insieme più grande e incombente ormai non più visibile ad occhio nudo ma immaginabile, questo sì.

Discorso a parte meriterebbero le copertine. Significativamente, quella di questo libro digitale è bianca, l’autore non potendo più sceglierne una. Saggia decisione, dopotutto. Qui non sono possibili generalizzazioni; guardando quelle degli altri libri pubblicati, il nostro occhio è caduto su certe sdraio, certe cabine, certe case, ma sono frammenti solo della superficie dietro cui si cela il vero paesaggio narrativo che riesce a tratteggiare, allo stesso modo delle costruzioni e degli elementi di natura via via cancellati dalle speculazioni che hanno investito Riviera come resto d’Italia. Altre immagini sono di donne, e noi non abbiamo sufficientemente battuto sulla sua capacità di tratteggiare personaggi femminili (la nana còrsa Madame Teresi di Figura gigante, l’Olga irrequieta dalle chiome fulve di Il salto dell’acciuga), come può chi le donne le conosce amandole di quell’amore diverso da quello del figlio o dell’amico, saggi della quale sono presenti in quasi tutti i libri di questo prezioso autore, e ci piacerebbe l’Einaudi ne estendesse il novero di cui poter fruire da piattaforme computerizzate.

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